Nella newsletter di agosto potrai trovare alcune sentenze in materia di diritto del lavoro.
Cliccando sui singoli link, oltre ai contenuti già presenti nell’articolo, troverai le sentenze integrali da cui sono tratti; in ognuna sono sottolineati i passaggi più significativi.
Scrivici una mail indicandoci quali sono gli argomenti che vorresti fossero affrontati nel focus di settembre, ci farebbe piacere! Buona lettura della newsletter!
Differenza tra picchi di attività e attività stagionali
Cassazione civile n. 9243 del 4.04.2023
La Suprema Corte chiamata a verificare la correttezza della violazione della norma che impone la trasformazione a tempo indeterminato del rapporto di lavoro al superamento del totale di 36 mesi di prestazione (sotto il vigore della precedente normativa) ha il pregio di evidenziare anche la differenza tra picchi stagionali e attività stagionali. Nel concetto di attività stagionale possono comprendersi soltanto situazioni aziendali collegate ad attività stagionali in senso stretto, ossia ad attività preordinate ed organizzate per un espletamento temporaneo (limitato ad una stagione) e non anche situazioni aziendali collegate ad esigenze d’intensificazione dell’attività lavorativa determinate da maggiori richieste di mercato o da altre ragioni di natura economico- produttiva. La normale attività è quella che il singolo imprenditore, nell’esercizio poteri suoi propri (artt. 2082, 2086, 2555 c.c.) ha stabilito come scopo oggettivo del suo operare. L’attività stagionale è aggiuntiva rispetto a quella normalmente svolta ed implica un collegamento con l’attività lavorativa che vi corrisponde.
Licenziamento per scarso rendimento
Cassazione civile n. 9453 del 6.04.2023
Nel caso esaminato la Suprema Corte, chiamata recentemente a pronunciarsi spesso sul tema, affronta la valutazione di un licenziamento per scarso rendimento riconducendolo in via preliminare a quello per giustificato motivo soggettivo. Sottolinea inoltre come il datore di lavoro, cui spetta l’onere della prova, non può limitarsi a provare solo il mancato raggiungimento del risultato atteso o l’oggettiva sua esigibilità, ma deve anche provare che la causa di esso derivi da colpevole negligente inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore nell’espletamento della sua normale prestazione.
Il dipendente con a carico un disabile può prestare lavoro notturno
Cassazione civile n. 12649 del 10.05.2023
La sentenza della Suprema Corte coglie in tema di lavoro notturno e assistenza al disabile due aspetti che paiono essere di rilievo. Il primo. Il dipendente che assiste un disabile ha diritto ad essere esonerato dal prestare il lavoro notturno, ma – e qui sta l’importanza della sentenza – è a sua discrezione scegliere se esercitarlo o meno. Ciò significa che l’esonero non è fattispecie che autonomamente deve intendersi applicata; il datore di lavoro deve quindi accertarsi che il dipendente voglia fruirne. Il secondo. La condizione di disabilità. La pronuncia, richiamandosi ai principi in tema di trasferimento del dipendente, evidenzia come la condizione minima per fruire dell’esonero sia l’accertamento della disabilità, quand’anche non grave.
Tempestività del licenziamento con raccomandata a un diverso indirizzo
Cassazione civile n. 10802 del 21.04.2023
Il tema su cui la Cassazione torna a pronunciarsi è quello dell’invio nei termini massimi previsti dal CCNL dei provvedimenti disciplinari, e in particolare quello del licenziamento. Nel caso specifico ci si trova nella situazione di mancato reperimento del lavoratore che talvolta (ma non in questo caso) non comunica il cambio di indirizzo. Dopo un breve accenno della scissione tra momento dell’invio e quello del ricevimento ciò che viene in rilievo è l’importanza della condotta colpevole o incolpevole del datore di lavoro che deve demandare la spedizione della lettera a un servizio idoneo a garantire un adeguato affidamento. Qui l’azienda era incorsa in decadenza perché la prima raccomandata era stata inviata a un civico diverso da quello che la stessa dipendente aveva comunicato. Importanti le conseguente sanzionatorie, viene in rilievo infatti rispetto all’applicazione dell’art. 18 c. 5 o 6, la valutazione circa il tempo del ritardo rispetto ai termini indicati nel CCNL, se notevole e considerevole si applicherà la tutela del comma 5, se limitato (come nel caso di specie in 10 gg) allora il comma 6.
Quando si può controllare il dipendente con agenzia investigativa
Tribunale Roma del 14.03.2023
Il Tribunale di Roma torna sul tema dei controlli del dipendente da parte del datore di lavoro precisando che il divieto, per il datore di lavoro, di ricorrere a controlli eseguiti tramite agenzia di investigazione privata, è limitato alla verifica dell’adempimento o dell’inadempimento, da parte del lavoratore, della sua prestazione lavorativa come tale delle sue modalità di esecuzione, mentre il datore di lavoro ben può eseguire, anche attraverso le suddette agenzie, i cc.dd. “controlli difensivi” che possono estendersi a verificare la realizzazione di comportamenti illeciti da parte del lavoratore, quali la falsa attestazione di orari di lavoro o l’allontanamento dal luogo di lavoro anche in orario ordinario per scopi privati senza che ciò risultasse né documentato né richiesto, essendo sufficiente, per procedere a detti controlli, anche il solo sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione.
Dipendente reintragrato ma in azienda non c’è più la sua mansione
Cassazione civile n. 11564 del 03.05.2023
La sentenza in commento richiama principi pressoché consolidati in tema di reintegra del dipendente illegittimamente licenziato a fronte di un ordine giudiziale. L’accertamento giudiziale dell’illegittimità del licenziamento ed il conseguente ordine di reintegrazione ex L. n. 300 del 1970, art. 18, ricostituendo “de iure” il rapporto – da considerare, quindi, come mai risolto – ne ripristinano integralmente l’originario contenuto obbligatorio, comprendente anche il diritto del lavoratore a riassumere le abituali mansioni nel posto di lavoro occupato anteriormente. Pertanto, l’eventuale attribuzione del suddetto posto ad altro dipendente in sostituzione del lavoratore licenziato – che abbia impugnato l’atto di recesso – deve essere considerata provvisoria perché condizionata alla definitiva reiezione giudiziale della suddetta impugnativa. Ne consegue che, sopravvenuto l’ordine di reintegrazione, il datore di lavoro, quali che siano gli impegni assunti nei confronti del sostituto, deve in via prioritaria riammettere il lavoratore licenziato nel suo originario posto di lavoro e non può allegare l’avvenuta sostituzione come esigenza organizzativa per trasferire in altra sede di lavoro il dipendente reintegrato.
Onere della prova in tema di malattia falsa
Cassazione civile n. 12994 del 12.05.2023
La Suprema Corte valuta il caso di un dipendente che durante il periodo di malattia, aggravando la patologia e rendendo più lungo il protrarsi della stessa, svolgeva altra attività accertata dall’azienda con l’ausilio di agenzia investigativa. Il licenziamento che ne è derivato veniva giudicato legittimo. Infatti, in materia di licenziamento disciplinare intimato per lo svolgimento di altra attività, lavorativa o extralavorativa, durante l’assenza per malattia del dipendente, gravi sul datore di lavoro la prova che essa sia simulata ovvero che la predetta attività sia potenzialmente idonea a pregiudicare o ritardare il rientro in servizio del dipendente, atteso che la L. n. 604 del 1966, art. 5 pone a carico del datore l’onere della prova di tutti gli elementi di fatto integranti la fattispecie che giustifica il licenziamento e, dunque, di tutte le circostanze, oggettive e soggettive, idonee a connotare l’illecito disciplinare contestato.
Previsioni del ccnl in tema di licenziamento sono vincolanti
Cassazione civile n. 15140 del 30.05.2023
L’oggetto del giudizio rimanda alla verifica della proporzionalità del licenziamento per giusta causa in presenza di condotte tipizzate nel CCNL non esattamente aderenti al caso specifico. Qui, con un rimando ad una giurisprudenza ormai consolidata, la Suprema Corte ribadisce che rientra nell’attività sussuntiva e valutativa del giudice di merito la verifica della sussistenza della giusta causa, con riferimento alla violazione dei parametri posti dal codice disciplinare del CCNL, dovendo la scala valoriale ivi recepita costituire uno dei parametri cui fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale di cui all’art. 2119 c.c., attraverso un accertamento in concreto della proporzionalità tra sanzione ed infrazione sotto i profili oggettivo e soggettivo, ben potendo le parti sottoporre il risultato della valutazione cui è pervenuto il giudice di merito all’esame della S.C., sotto il profilo della violazione del parametro integrativo della clausola generale costituito dalle previsioni del codice disciplinare (Cass. n. 9396/2019).
Condanna per violenza sessuale di una minorenne – l’azienda dopo anni licenzia
Cassazione civile n. 14114 del 23.05.2023
Il caso affrontato dalla Suprema Corte denota quanto ancora il tema della violenza sessuale sia di scarso interesse. Qui l’azienda, venuta a conoscenza di una condanna per violenza sessuale di una minorenne passata in giudicato di tredici anni prima licenziava il dipendente sulla scorta del venir meno della fiducia. Il giudice dell’appello confermava l’illegittimità del licenziamento considerando come risalente nel tempo la condotta e quindi non più “interessante” a livello disciplinare. La Cassazione contrastava la pronuncia asserendo al signor A.A. fu contestato di aver ” in modo insidioso e repentino nonché usando violenza, consistita nell’afferrare per un braccio (…), allora minorenne, e nel tirarla con forza verso di sé la costringeva a subire atti sessuali consistiti nel metterle una mano sotto la gonna e nel toccarle gli organi genitali”, tale fatto era stato accertato in via definitiva con sentenza penale passata in giudicato. Il comportamento per il quale il lavoratore è incorso in una condanna in sede penale, per quanto risalente nel tempo, rivesta un carattere di gravità che non può essere suscettibile di attenuazione solo per effetto del tempo trascorso, dato del tutto neutro. Né tale condotta può esser considerata meno grave, secondo il diffuso comune sentire, sol perché si è svolta in un luogo deputato al divertimento. Una violenza sessuale ai danni di una minore di età, in qualsiasi contesto sia commessa, è secondo uno standard socialmente condiviso una condotta che per quanto di per sé estranea al rapporto di lavoro è idonea a ledere il vincolo fiduciario a prescindere dal contesto in cui la stessa è stata commessa e dal tempo trascorso dal fatto, a maggior ragione ove l’attività lavorativa svolta ponga il lavoratore a diretto contatto col pubblico. Nel valutare poi la distanza temporale tra il fatto e l’incidenza sul vincolo fiduciario la Corte di merito avrebbe dovuto tenere presente il momento in cui la società è venuta a conoscenza del fatto mai prima comunicatole. Si tratta di elemento che rileva non soltanto ai fini di una valutazione della tempestività della reazione datoriale, che nella specie non appare essere controversa, ma anche nella verifica della persistenza del rapporto fiduciario che deve sorreggere la relazione tra datore di lavoro e lavoratore.