Nella newsletter di febbraio potrai trovare alcune sentenze in materia di diritto del lavoro. Il Focus di questo mese è: Dimissioni per giusta causa per demansionamento del dirigente.

 

Cliccando sui singoli link, oltre ai contenuti già presenti nell’articolo, troverai le sentenze integrali da cui sono tratti.

Buona lettura della newsletter!

Dimissioni per giusta causa per demansionamento del dirigente

Dimissioni per giusta causa per demansionamento del dirigente

Materia di lavoro stagionale e la specificazione delle ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato

Corte di Cassazione Civile n. 28907 del 18.10.2023

Il caso esaminato dalla Suprema Corte si riferisce ad una lavoratrice con plurimi contratti a tempo determinato stagionali che riteneva nullo il termine inserito negli stessi. La Corte d’Appello di Messina aveva rigettato la domanda di nullità e di conversione del rapporto di lavoro in tempo indeterminato, oltre al risarcimento del danno ritenendo che la causale del termine (“sopperire alle temporanee esigenze del servizio di esazione pedaggio”) fosse sufficientemente specifica poiché la lavoratrice era a conoscenza delle ragioni organizzative che giustificavano le assunzioni stagionali. La Cassazione ha stabilito che la specificazione delle ragioni giustificatrici dell’apposizione del termine al contratto di lavoro deve essere espressa nel contratto stesso, sia direttamente che per relationem. La conoscenza che il lavoratore può avere di tali esigenze non può surrogare questo requisito formale.

Il tempo utile ad indossare la divisa aziendale, è da considerarsi tempo di lavoro e quindi va retribuito

Tribunale di Milano n.2956 del 4.07.2023

La sentenza del Tribunale torna a pronunciarsi sul c.d. “tempo tuta” e sul conseguente risarcimento danni derivanti da un’errata determinazione dell’orario di lavoro. Ancora una volta la sentenza evidenzia come il tempo necessario per indossare e svestire la divisa aziendale deve essere considerato tempo di lavoro retribuito solo se sottoposto a eterodirezione aziendale. Quindi qualora, come nel caso esaminato, i lavoratori siano obbligati a indossare la divisa nei locali aziendali per ragioni di sicurezza e riconoscibilità detto tempo deve essere retribuito nella misura ad es. di 10 minuti giornalieri con una maggiorazione del 28%.

False dichiarazioni del lavoratore post infortunio sul lavoro, il datore può procedere al licenziamento dello stesso

Corte Appello di Venezia n. 335 del 14.06.2023

La sentenza n. 335 del 14 giugno 2023 della Corte d’Appello di Venezia riguarda un caso di licenziamento per giusta causa a seguito di false dichiarazioni del lavoratore in merito a un infortunio sul lavoro. Il giudice di primo grado aveva ritenuto tardivo il licenziamento, sostenendo che il datore di lavoro fosse già a conoscenza dei fatti nell’autunno del 2018. Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato questa decisione, sostenendo che il giudice di primo grado aveva erroneamente ritenuto tardiva la contestazione disciplinare. La Corte ha ritenuto attendibili le testimonianze che indicavano che il datore di lavoro era venuto a conoscenza dei fatti solo a fine giugno/inizio luglio 2019. Inoltre, la Corte ha sottolineato la difficoltà delle indagini condotte dal datore di lavoro, date le circostanze del caso. Pertanto, la Corte ha ritenuto legittimo il licenziamento

Ambiente di lavoro stressogeno anche in assenza di mobbing

Corte Cassazione Civile n. 28923 del 18.10.2023

La Suprema Corte tratta in questa ordinanza il tema del mobbing. La Corte d’appello di Milano aveva respinto l’appello confermando la pronuncia di primo grado che condannava la società al risarcimento del danno da demansionamento, del danno biologico, e all’indennità sostitutiva del preavviso. Ciò nonostante, la Cassazione ribadiva che riguardo al mobbing è necessario provare l’intenzione persecutoria del datore di lavoro, infatti la mera dequalificazione o condotte illegittime, quand’anche oggetto di risarcimento non sono sufficienti a ritenerlo sussistente. Ha inoltre confermato la responsabilità del datore di lavoro per danni alla salute anche in assenza di mobbing, se si crea un ambiente stressogeno. Infine, ha ribadito che la richiesta di risarcimento del danno da perdita di chance deve essere supportata da prove concrete sulla probabilità di conseguire il risultato auspicato.

Scelta della sede di lavoro in caso di assistenza a disabile

Corte Cassazione Civile n. 26343 del 12.09.2023

Nel caso in esame, si è chiesta l’assegnazione della sede di lavoro più vicina al domicilio del congiunto portatore di handicap, ai sensi della Legge n. 104 del 1992, articolo 33, comma 5. La Suprema Corte, a fronte della tesi dell’azienda secondo cui la lavoratrice non possedeva i requisiti per beneficiare dell’agevolazione e che gli accordi sindacali nazionali sulla mobilità non si applicavano ai trasferimenti previsti dalla Legge n. 104 del 1992., confermava che il diritto al trasferimento può essere esercitato durante il rapporto di lavoro, e che gli accordi sindacali devono rispettare i diritti previsti dalla legge e che è onere dell’azienda dimostrare la presenza di ragioni ostative al trasferimento. L’assegnazione di sedi in sovrannumero è quindi ininfluente allo scopo.

Dimissioni e perdita automatica delle ferie

Cassazione Civile n. 32807 del 27.11.2023

La Cassazione si occupava del caso di un ex dirigente medico che aveva proposto ricorso per rivendicare l’indennità sostitutiva per 157 giornate di ferie non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro nel 30 aprile 2015. La Suprema Corte accoglieva il ricorso ritenendo che la Corte d’appello avesse erroneamente attribuito valore di rinuncia alle ferie con le dimissioni, senza considerare se l’azienda avesse offerto la prova di aver invitato tempestivamente il lavoratore a godere delle ferie e di averlo avvisato in modo accurato sulla perdita dei diritti in caso di mancata fruizione. La Corte sottolineava, inoltre, l’erroneità della valutazione della prescrizione delle indennità, stabilendo che questa decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Patto di non concorrenza e limiti del territorio

Corte d’Appello di Bologna n. 539 del 24.10.2023

La Corte d’Appello si è pronunciata in merito a una presunta violazione del patto di non concorrenza da parte di un dirigente. Ivi la Corte ha affrontato la questione dell’interpretazione del concetto di “territorio italiano” nel patto di non concorrenza stabilendo che il termine non si riferisce solo al luogo fisico di lavoro ma al mercato di riferimento, considerando il ruolo internazionale del dirigente. In particolare, respingeva poi l’argomento secondo cui la partecipazione del dirigente a una fiera internazionale in Italia costituirebbe una violazione del patto di non concorrenza, sottolineando che l’evento era orientato al mercato internazionale. In conclusione, la Corte rigettando tutte le prove ha nuovamente evidenziato come l’onere della prova in capo all’azienda debba essere puntuale e specifico.

Legittimo il licenziamento per giusta causa del lavoratore che importuna le colleghe

Cassazione Civile n. 31790 del 15.11.2023

La Cassazione si esprime in tale di licenziamento per giusta causa a seguito della pronuncia della Corte d’Appello che aveva ritenuto giustificato per la violazione delle disposizioni aziendali e per il turbamento causato alle lavoratrici. La Suprema Corte evidenziava come la Corte d’Appello avesse adeguatamente valutato le prove e che il licenziamento era proporzionato alle condotte lesive. Enunciava poi il principio per cui la diffida era un esercizio del potere direttivo della società, e l’inadempimento ad essa ha giustificato il procedimento disciplinare.

Legittimo il licenziamento della lavoratrice che rifiuta il passaggio da part time a full time

Cassazione Civile n. 29337 del 23.10.2023

La sentenza della Corte Suprema di Cassazione riguarda un caso di licenziamento di un dipendente che aveva rifiutato la proposta di trasformare il proprio rapporto di lavoro da part time a full time. Il licenziamento era motivato dalla soppressione della posizione lavorativa causa di una presunta necessità di riorganizzazione aziendale legata a un incremento dell’attività. La Corte d’Appello di Milano, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva dichiarato la nullità del licenziamento, ritenendo pretestuosa la riorganizzazione aziendale e affermando la possibilità di ripartire tra i dipendenti il carico di lavoro supplementare senza la necessità di assumere una nuova risorsa full time. La Corte aveva anche considerato il licenziamento come ritorsivo, collegandolo al rifiuto del dipendente di trasformare il proprio orario di lavoro. La Corte Suprema ribaltava la sentenza sostenendo che la Corte d’Appello non avesse adeguatamente valutato le esigenze economiche ed organizzative della società e non avesse correttamente applicato i principi in materia di licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

Reintegrata la lavoratrice licenziata perché non gradita al nuovo datore?

Tribunale Venezia n. 531 del 13.09.2023

La sentenza in esame si riferisce all’impugnazione di un licenziamento nullo poiché motivato da un motivo illecito determinante. La ricorrente sostiene che il licenziamento sia illegittimo, poiché non sussisterebbe un giustificato motivo oggettivo e violerebbe l’obbligo di repêchage. La sentenza sottolinea che, nonostante la società abbia prodotto un utile nel 2021, emergono indizi di licenziamento ritorsivo per l’assenza di un motivo oggettivo nella lettera di licenziamento, per la simultanea assunzione di nuovo personale e per la messa in cassa integrazione della ricorrente durante l’assunzione di altro personale. La Corte conclude dichiarando nullo il licenziamento e condannando l’azienda alla reintegrazione della dipendente con risarcimento danni.

Il danno morale è risarcibile in caso di infarto “lavoro-correlato”?

Cassazione Civile n. 25191 del 24.08.2023

La sentenza in commento si riferisce al riconoscimento della malattia professionale e del conseguente diritto del dipendente al danno differenziale conseguente a un intervento chirurgico di bypass aorto-coronarico, che aveva portato inizialmente a un cambio di ruolo e successivamente alla cessazione del rapporto di lavoro. Già la Corte d’Appello aveva riconosciuto il nesso di causalità tra l’attività lavorativa del dipendente e l’evento patito, sostenendo che le condizioni lavorative pesanti, i turni, gli orari e il carico di lavoro eccessivo integravano la responsabilità del datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 c.c.; determinava conseguentemente il danno differenziale escludendo il danno morale. La Cassazione confermava invero la determinazione del differenziale già riconosciuta ma, sulla scorta di un nuovo riesame delle prove riteneva parimenti provato il danno morale.

Transazione “tombale” e danni imprevedibili

Cassazione Civile n. 25603 del 01.09.2023

La sentenza in questione riguarda un ricorso presentato da un lavoratore avverso la decisione della Corte d’Appello di Venezia che ha respinto la sua domanda di risarcimento per un presunto aggravamento delle sue condizioni di salute a seguito di un infortunio sul lavoro. La Corte Suprema di Cassazione che ha respinto il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello, ha ribadito che, affinché un danneggiato possa chiedere il risarcimento dei danni manifestatisi successivamente a una transazione, è necessario dimostrare l’imprevedibilità dei danni futuri al momento della transazione stessa. Nel caso in questione, l’appellante non è riuscito a fornire prove sufficienti dell’imprevedibilità dell’aggravamento delle sue condizioni di salute. L’appellante avrebbe dovuto dimostrare l’imprevedibilità dell’aggravamento delle sue condizioni di salute, cosa che non è riuscito a fare.

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