Nella newsletter di giugno potrai trovare alcune sentenze in materia di diritto del lavoro.

 

Cliccando sui singoli link, oltre ai contenuti già presenti nell’articolo, troverai le sentenze integrali da cui sono tratti; in ognuna sono sottolineati i passaggi più significativi. Buona lettura della newsletter!

Il modello deve essere iscritto alla gestione ENPALS

Corte Appello Milano n. 486 del 10.02.2023

La sentenza offre l’opportunità per tornare a verificare chi possa essere ritenuto soggetto ai contributi quale lavoratore dello spettacolo. Le categorie dei lavoratori obbligatoriamente da assicurare presso la gestione ENPALS, comprendono due gruppi di prestatori d’opera, e cioè coloro che “lavoratori dello spettacolo” perché direttamente impegnati nella rappresentazione o perché forniscono il supporto tecnico per la sua realizzazione, registrazione o trasmissione-comprendente quelle categorie per le quali la qualità di lavoratori dello spettacolo è insita nella qualifica da essi rivestita in quanto per definizione l’attività espletata è diretta al pubblico, o alla realizzazione di un prodotto destinato ad essere visto o ascoltato – e coloro che hanno qualifiche generiche e possono operare sia nell’ambito dello spettacolo, sia per la realizzazione dei più vari lavori quali organizzatori generali, direttori, ispettori, cassieri, arredatori e architetti, truccatori e parrucchieri, elettricisti, attrezzisti, falegnami, tappezzieri, sarti, pittori, stuccatori e formatori e artieri ippici. Per questa seconda tipologia, l’appartenenza alla categoria dei lavoratori dello spettacolo, con il conseguente obbligo contributivo nei confronti della gestione ex ENPALS, sussiste solo se la loro attività sia funzionale alla realizzazione di uno spettacolo, da parte dei lavoratori rientranti nella prima categoria. Per i lavoratori della prima categoria il giudice di merito deve accertare soltanto la qualifica rivestita dai medesimi e la loro inclusione nell’elenco degli assicurati. Per i lavoratori del secondo gruppo il giudice di merito “oltre al precedente accertamento, deve anche verificare se l’attività in concreto svolta sia funzionale, o meno, alla attività di spettacolo svolta dai primi.

Cessione del rapporto di lavoro irregolare devono essere corrisposte le retribuzioni

Cassazione civile n. 5796 del 24.02.2023

La questione sottoposta alla Corte concerne il danno lamentato dal lavoratore il quale, passato ad altra società a seguito di cessione di ramo di azienda, in seguito alla declaratoria giudiziale di illegittimità della cessione richieda al cedente il pagamento di somme per il differenziale tra quanto percepito dalla società cessionaria e quanto avrebbe potuto percepire in caso di continuità dell’originario contratto di lavoro. Il lavoratore ceduto, che vede giudizialmente ripristinato il rapporto di lavoro con il cedente, non ha diritto alla retribuzione per il periodo intercorrente tra la data di cessione del ramo di azienda e quella della pubblicazione del provvedimento giudiziale di illegittimità della suddetta cessione e può ottenere il risarcimento del danno subìto a causa dell’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla, detratto l’eventuale aliunde perceptum, soltanto a partire dal momento in cui abbia provveduto a costituire in mora il datore di lavoro cedente ex art. 1217 cod.civ.

Discriminazione sull’orientamento sessuale – licenziamento disciplinare

Cassazione civile n. 7029 del 9.03.2023

Veniva, nel caso di specie, imputato al lavoratore di avere tenuto un comportamento gravemente lesivo dei principi del Codice Etico aziendale e delle regole di civile convivenza, avendo pronunziato frasi sconvenienti ed offensive ad alta voce, alla presenza di diversi utenti, nei confronti di una collega. Secondo la Corte costituisce innegabile portato della evoluzione della societa’ la acquisizione della consapevolezza del rispetto che merita qualunque scelta di orientamento sessuale e del fatto che essa attiene ad una sfera intima e assolutamente riservata della persona; l’intrusione in tale sfera, effettuata peraltro con modalita’ di scherno e senza curarsi della presenza di terze persone, non puo’ pertanto essere considerata secondo il “modesto” standard della violazione di regole formali di buona educazione utilizzato dal giudice del reclamo ma deve essere valutata tenendo conto della centralita’ che nel disegno della Carta costituzionale assumono i diritti inviolabili dell’uomo.

Onere dalla prova del lavoratore sulla successione dei rapporti di lavoro irregolari

Corte Appello di Roma n. 637 del 6.03.2023

In tema di richiesta di riconoscimento del diritto al transitare alle dipendenze del cessionario a fronte di molteplici rapporti di lavoro, incombe al lavoratore provare che gli stessi si sono susseguiti senza soluzione di continuità né fattuale né giuridica, dimostrando, con priorità logica, di aver adempiuto la propria prestazione di lavoro in regime di subordinazione anche nei periodi intermedi di asserito lavoro “in nero”.

In malattia e allo stadio – licenziato

Tribunale di Arezzo n. 64 del 7.03.2023

Il Tribunale si interroga se sia un grave inadempimento recarsi a un evento sportivo durante lo stato di malattia tale per cui sia leso il rapporto fiduciario. Nella ricostruzione della sentenza, ove tuttavia l’azienda commetteva gravi omissioni in merito alle prove poste a suo carico, il giudice riteneva che la condotta del dipendente in malattia che va allo stadio non sia così grave, infatti non è detto che partecipare alla partita possa aggravare lo stato morbigeno del lavoratore.

Reiterazione dei contratti di somministrazione – quando diventano troppi

Corte Appello Milano n. 162 del 20.03.2023

In tema di successione dei contratti di somministrazione la sentenza della Corte d’Appello richiama, in quanto adita in fase di riassunzione del processo dopo la sentenza dalla Suprema Corte, le previsioni e le considerazioni di quest’ultima. Missioni successive del medesimo lavoratore tramite agenzia interinale presso la stessa impresa utilizzatrice, ove conducano a una durata dell’attività presso tale impresa più lunga di quella che “possa ragionevolmente qualificarsi “temporanea”, potrebbero denotare un ricorso abusivo a tale forma di lavoro, ai sensi dell’art. 5, paragrafo 5, prima frase, della direttiva 2008/104. (…) Nell’ipotesi in cui la normativa applicabile di uno Stato membro non abbia previsto una durata determinata, è compito dei giudici nazionali stabilirla caso per caso, alla luce di tutte le circostanze pertinenti, che comprendono in particolare le specificità del settore e garantire che l’assegnazione di missioni successive a un lavoratore temporaneo non sia volta a eludere gli obiettivi della direttiva 2008/104, in particolare la temporaneità del lavoro tramite agenzia interinale.

Agente di polizia licenziato per la stessa condotta diffamatoria

Cassazione Civile n. 7225 del 13.03.2023

La Suprema Corte qui svolge un complesso esame dalla disciplina di cui al D.lgs. 165/01 in coordinamento alle previsioni del CCNL per i dipendenti di polizia. Si evidenzia l’indubbia particolarita’ che caratterizza l’ipotesi contestata, quanto a disciplina collettiva, data dal fatto che la fattispecie destinata a sorreggere il licenziamento con preavviso (recidiva nel biennio di sistematici e reiterati atti e comportamenti aggressivi ed ostili etc.) richiede una recidiva assai complessa, data dal pregresso verificarsi dapprima di condotte (moleste, denigratorie etc.) sistematiche e reiterate, punite con la sospensione e gia’ a propria volta plurime, che siano seguite poi, nel biennio, da ulteriori sistematici e reiterati atti e comportamenti di analoga portata. È  quindi evidente come colga nel segno il rilievo per cui il secondo comportamento addebitato e valorizzato dalla Corte di merito, consistendo in una denuncia calunniosa, per quanto caratterizzata da destinatari ed incolpazioni plurime, non riesca ad essere inquadrata, per la sua unicita’ realizzativa, in quel concetto di sistematicita’ e reiterazione che richiede la norma collettiva.

Tirocinanti presso il ministero chiedono creazione di un rapporto subordinato

Corte Appello Milano n. 975 del 3.03.2023

La Corte d’Appello, confermando la sentenza di primo grado, ricorda che in tema di tirocini è importante la verifica della Circolare che regola proprio gli stessi e che mira a verificarne i contenuti intrinseci. Non bisogna soffermarsi sul dato formale, riferito sia al progetto che al nomen iuris utilizzato dalle parti, ma è necessario verificare lo svolgimento del rapporto nelle sue modalità concrete, essendo del tutto irrilevante che la collaborazione sia stata finalizzata anche al perseguimento delle finalità istituzionali degli Uffici Giudiziari ed abbia in tal senso ottenuto i lusinghieri risultati attestati dai capi dei suddetti uffici. Richiamava poi la corretta applicazione della sentenza della Corte di Giustizia Europea del 16.7.2020 che conferma che la caratteristica essenziale del rapporto di lavoro è data dalla circostanza che una persona fornisca, per un certo periodo di tempo, a favore di un’altra e sotto la direzione di quest’ultima, prestazioni in cambio delle quali percepisca una retribuzione. Più precisamente deve essere qualificata come “lavoratore” ogni persona che svolga attività reali ed effettive, restando escluse quelle attività talmente ridotte da poter essere definite puramente marginali ed accessorie, e per le quali percepisca indennità aventi carattere remunerativo.

Si ha licenziamento solo se c’era rapporto subordinato

Tribunale di Roma del 16.02.2023

Il Tribunale affrontava il caso di un medico che riteneva di essere stato ingiustamente licenziato ma per affermare tale occorrenza doveva prima provare di essere stato assunto con rapporto di lavoro subordinato. A tale scopo il Tribunale ha ricordato che affinché si possa configurare un rapporto subordinato è necessario che il datore di lavoro non si limiti a impartire semplici direttive o prescrizioni predeterminate, ma eserciti il suo potere direttivo dettando disposizioni specifiche che ineriscono all’intrinseca esecuzione della prestazione lavorativa. Esiste tuttavia la c.d. subordinazione attenuata, in cui cioè la subordinazione può evincersi anche in difetto di continui e specifici controlli o direttive, laddove l’organizzazione datoriale non li consenta o non li preveda, come nel caso in cui la prestazione lavorativa abbia natura prettamente intellettuale o di concetto, ovvero sia qualificata da creatività e/o particolare autonomia.

Recesso dall’apprendistato – discriminazione per due gravidanze

Cassazione Civile n. 3361 del 3.02.2023

La Suprema Corte esprime il proprio convincimento in tema di discriminazioni fondate sul sesso rammentando che l’art. 40 D.lgs. 198/2006 esige un onere probatorio in tale situazione attenuato essendo la parte ricorrente tenuta a dimostrare un ingiustificata differenza di trattamento o la posizione di svantaggio dovute al fattore di rischio rimanendo poi a carico del datore di lavoro l’onere di dimostrare le circostanze atte ad escludere la discriminatorietà della condotta. Quindi il giudice è chiamato a verificare l’esistenza, in base a un ragionamento presuntivo, di un possibile fattore di discriminazione e in caso positivo ad accertare se la parte datoriale avesse assolto all’onere di allegare e dimostrare le circostanze destinate a superare la presunzione di discriminazione.

Lasciato inattivo – come risarcire il danno

Cassazione Civile n. 3692 del 7.02.2023

La Suprema Corte richiama nel caso di specie le considerazioni già svolte dalla stessa in tema di demansionamento e connesso diritto al risarcimento del danno. Ove si sia concretizzato con la destinazione del dipendente ad altre mansioni, il sostanziale svuotamento dell’attività lavorativa, la vicenda esula dalle problematiche dell’equivalenza formale delle mansioni prevista nel pubblico impiego configurandosi non un demansionamento ma la diversa e più grave figura della sottrazione delle funzioni da svolgere. Il comportamento del datore di lavoro che lascia in condizioni di inattività il dipendente non solo viola l’art. 2103 cc ma è al tempo stesso lesivo del fondamentale diritto al lavoro, inteso come mezzo di estrinsecazione della personali di ciascun cittadini, nonché dell’immagine e della professionalità del dipendente; si traduce in una lesione di un bene immateriale per eccellenza, la dignità professionale del lavoratore.

Plurimi contratti a termine, quanto si parla di risarcimento del danno

Cassazione Civile n. 5542 del 22.02.023

Il caso esaminato appare di rilevante importanza perché investita di fornire un’interpretazione dirimente è la Suprema Corte nella sua composizione a Sezioni Unite chiamata a statuire in tema di convertibilità del contratto a termine con termine nullo nell’ambito di legislazione speciale di ente soggetto a disciplina privatistica del rapporto. Innanzitutto, le Sezioni Unite rilevano come si debba applicare la disciplina vigente all’epoca della stipula del contratto a termine per il quale si reputa nulla la condizione di durata. Da ciò consegue che alle Fondazioni liriche si applica la disciplina del rapporto di lavoro privato ad eccezione dei contratti a termine delle previsioni di conversione per i quali vigono gli stessi principi del rapporto pubblico e quindi nessuna automatica assunzione a tempo indeterminato ma se vi è stata violazione unicamente il risarcimento.

Difese orali in tema di procedimento disciplinare

Cassazione Civile n. 6555 del 6.03.2023

La Suprema Corte, tra i vari aspetti presi in considerazione nel caso di specie affronta anche il tema della validità o meno delle difese orali e il termine per l’esercizio delle stesse. Se il lavoratore ha un termine per difendersi dalle contestazioni disciplinari, e può scegliere fra modalità scritta o verbale, le sue difese orali sono tempestive qualora nel medesimo termine egli chieda di essere sentito, anche se poi la sua audizione avvenga a termine scaduto. Ma non solo. Nel caso in cui dopo avere il lavoratore presentato giustificazioni scritte senza indicazione dell’audizione orale, eserciti nel termine dell’art. 7 L. 300/70 detto diritto il datore di lavoro è onerato di procedere in tal senso senza sindacare sull’opportunità o meno delle stesse.

Licenziato perche’ scrive sulla testata dell’autobus frasi personali

Cassazione civile n. 7293 del 13.03.2023

La vicenda trae origine da un autista di autobus che utilizzava il veicolo affidato per esprimere sul display propri commenti alla campagna vaccinale covid, condividendo altresì sui social network il suo disprezzo per l’azienda. La Suprema Corte, confermando la legittimità del licenziamento per giusta causa, evidenziava nel comportamento del dipendente una condotta di chi: a) avvalendosi della propria condizione (autista con disponibilità del display del veicolo affidatogli in custodia) si è procurato un indebito vantaggio nell’esprimere in termini volgari una sua opinione sulle vaccinazioni; b) si è reso, con azione disonorevole, indegno della pubblica stima tanto è che sul medesimo social ove era stata postata la foto, un interlocutore gli aveva detto che meritava di essere licenziato; c) aveva sottratto scientemente dal suo uso naturale il display dell’autobus per adibirlo a strumento di manifestazione di un proprio pensiero in maniera peraltro scurrile. A tale riguardo è opportuno evidenziavano che il display luminoso di un autobus, in quanto indicatore luminoso e visibile a terzi della linea, della destinazione, oltre che mezzo di comunicazione di eventuali emergenze per gli utenti, può considerarsi sicuramente compreso nel concetto di “documenti di servizio, registri od atti qualsiasi appartenenti all’azienda o che la possano comunque interessare”

Addebiti di carburante illegittimi ma contestati dopo molto tempo

Cassazione civile n. 7467 del 15.03.2023

La Suprema Corte per dirimere la questione che in particolare attiene sì ai contenuti della contestazione origine del licenziamento, aver addebitato costi di carburante inveritieri, ma di più al concetto di immediatezza della contestazione. Il datore di lavoro ha il potere, ma non l’obbligo, di controllare in modo continuo i propri dipendenti e di contestare loro immediatamente qualsiasi infrazione al fine di evitarne un possibile aggravamento, atteso che un simile obbligo, non previsto dalla legge nè desumibile dai principi di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., negherebbe in radice il carattere fiduciario del lavoro subordinato, sicchè la tempestività della contestazione disciplinare va valutata non in relazione al momento in cui il datore avrebbe potuto accorgersi dell’infrazione ove avesse controllato assiduamente l’operato del dipendente, ma con riguardo all’epoca in cui ne abbia acquisito piena conoscenza. Nel rapporto di lavoro in generale, e in particolar modo quando si assegnano al dipendente l’auto aziendale e la carta di credito intestata alla società, si fa affidamento sul corretto utilizzo di tali strumenti di lavoro, in funzione esclusiva delle esigenze connesse alla prestazione, non potendosi esigere un controllo costante di parte datoriale che presupporrebbe null’altro che una pregiudiziale sfiducia nell’operato del dipendente e quindi la negazione di quel patto di reciproca fiducia che sta alla base di ogni rapporto negoziale e del rapporto di lavoro in special modo.

Lavoratore licenziato che credeva di essere in cassa integrazione

Tribunale di Castrovillari n. 781 del 16.01.2023

Il Tribunale ha affrontato qui il “caso di scuola” nel quale il dipendente credendo di essere in cassa integrazione per il susseguirsi delle comunicazioni dell’azienda veniva licenziato senza alcuna formale comunicazione dopo l’avvenuta fine della c.i. Non vi è prova alcuna della risoluzione consensuale del contratto di lavoro ed anzi dal verbale dell’ispettorato emerge che il lavoratore era stato posto in C.I. senza ulteriori disposizioni. Al termine del periodo predetto, il datore di lavoro avrebbe dovuto comunicare o l’eventuale rientro o il licenziamento, cosa che non ha fatto. Invece quest’ultimo ha licenziato il lavoratore con effetti dal 2.11.2021 (circostanza appresa dal lavoratore attraverso ricerche personali sulla sua situazione contributiva) facendo seguire la comunicazione scritta solo a febbraio del 2022, dopo la ricezione della impugnativa da parte del ricorrente. Il ricorso veniva accolto sulla scorta della ragione più liquida, ovvero la nullità del licenziamento intimato in forma orale.

Differenza tra penale per mancata presa in servizio e patto di prova

Tribunale Forlì n.134 del 21.03.2023

Importante indicazione contenuta nella sentenza richiamata è quella che differenzia la penale inserita in un contratto con un dirigente per l’impegno alla presa in servizio con il patto di prova. Le due previsioni, infatti, hanno oggetto e finalità differenti e, nel caso di specie, sono volte a tutelare due momenti differenti del rapporto di lavoro. La previsione dell’applicazione della penale e la clausola risolutiva espressa afferivano ad un momento precedente all’effettiva presa di servizio, tutelando l’ interesse della società all’assunzione del ricorrente e al risarcimento forfetario del danno da eventuale inadempimento dell’impegno di prendere servizio alla data concordata. Il patto di prova doveva trovare attuazione al momento della presa in servizio del ricorrente rispondendo ad un interesse differente e specifico delle parti, quello di saggiare la reciproca convenienza del contratto, accertando il datore di l a v o r o primo le capacità del lavoratore e quest’ultimo, a sua volta, verificando l’entità della prestazione richiestagli e le condizioni di svolgimento del rapporto. Perché si possa invocare la libera recedibilità prevista per il periodo di prova ai sensi dell’art. 2096 c.c., è però necessario che il rapporto si sia costituito e che le parti abbiano consentito e svolto l’esperimento che forma oggetto del patto di prova.

Licenziamento per scarso rendimento

Cassazione civile n. 9453 del 6.04.2023

La Suprema Corte pone in risalto ancora una volta i principi alla base del licenziamento per scarso rendimento. Esso costituisce un’ipotesi di recesso del datore di lavoro per notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore, che, a sua volta, si pone come specie della risoluzione per inadempimento di cui agli artt. 1453 e segg. c.c. sicchè, fermo restando che il mancato raggiungimento di un risultato prefissato non costituisce di per sè inadempimento, ove siano individuabili dei parametri per accertare se la prestazione sia eseguita con diligenza e professionalità medie, proprie delle mansioni affidate al lavoratore, lo scostamento da essi può costituire segno o indice di non esatta esecuzione della prestazione, sulla scorta di una valutazione complessiva dell’attività resa per un apprezzabile periodo di tempo. Pertanto è stato ritenuto legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per scarso rendimento qualora sia provata, sulla scorta della valutazione complessiva dell’attività resa dal lavoratore stesso ed in base agli elementi dimostrati dal datore di lavoro, una evidente violazione della diligente collaborazione dovuta dal dipendente – ed a lui imputabile in conseguenza dell’enorme sproporzione tra gli obiettivi fissati dai programmi di produzione per il lavoratore e quanto effettivamente realizzato nel periodo di riferimento, tenuto conto della media attività tra i vari dipendenti ed indipendentemente dal conseguimento di una soglia minima di produzione.

Rapporto sentimentale e lavorativo – licenziamento ritorsivo

Cassazione civile n. 8737 del 28.03.2023

Nel caso in esame dove il dipendente si duole di essere stato licenziato in virtù del venir meno del rapporto sentimentale, la Suprema Corte facendo proprio quanto già asserito in primo grado evidenziava come il Tribunale ha affermato con esplicita statuizione che la conflittualità esistente tra le parti, per ragioni di carattere meramente sentimentale, seppur possa essere stata concausa del contegno assunto dalle parti e della conseguente cessazione del rapporto di lavoro, non ha costituito il motivo unico determinante del licenziamento, così peraltro escludendo il motivo ritorsivo. In rapporto alla proporzionalità del licenziamento invece ha ricordato come l’art. 2119. c.c., configura una norma elastica, in quanto costituisce una disposizione di contenuto precettivo ampio e polivalente destinato ad essere progressivamente precisato, l’operazione valutativa, compiuta dal giudice di merito nell’applicare clausole generali come quella dell’art. 2119 c.c., non sfugge ad una verifica in sede di giudizio di legittimità poichè l’operatività in concreto di norme di tale tipo deve rispettare criteri e principi desumibili dall’ordinamento.

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