Nella newsletter di maggio potrai trovare alcune sentenze in materia di diritto del lavoro.

Il Focus di questo mese è: La discriminazione nei confronti del part-time penalizza le donne.

 

Cliccando sui singoli link, oltre ai contenuti già presenti nell’articolo, troverai le sentenze integrali da cui sono tratti.

Buona lettura della newsletter!

Cessazione dell’attività aziendale e licenziamento della lavoratrice madre

Corte di Cassazione n. 35527 del 19.12.2023

La sentenza si riferisce al caso di licenziamento di una lavoratrice madre durante il periodo di maternità sulla base del fallimento della cooperativa. La Corte ha confermato la nullità del licenziamento della dipendente e ha ordinato la sua reintegrazione nel posto di lavoro. Al momento del licenziamento l’attività aziendale non era cessata definitivamente, ma erano in corso attività conservative, invalidando così la giustificazione del licenziamento sulla base della cessazione dell’attività.

Carattere subordinato della prestazione e onere della prova

Tribunale di Napoli del 22.01.2024

La sentenza si riferisce all’accertamento di un rapporto di lavoro subordinato sulla scorta di mansioni di odontotecnico per un lungo periodo senza aver ricevuto le corrette spettanze retributive. Il Tribunale ha respinto le richieste in quanto non è stata fornita prova sufficiente della subordinazione nel rapporto di lavoro, con testimonianze poco verosimili e contraddittorie, nonostante l’onere probatorio ricade sul lavoratore.

Accertamento dell’effettivo carattere stagionale nei rapporti a termine

Cassazione civile n. 34561 del 11.12.2023

La sentenza in oggetto riguarda una controversia relativa all’utilizzo abusivo di contratti a tempo determinato da parte dell’ESA (Ente di Sviluppo Agricolo), con il ricorrente che afferma di aver lavorato come operatore agricolo per l’ESA su base contrattuale. Il Tribunale di Agrigento ha verificato la violazione di normative e la natura non stagionale del lavoro svolto. In merito alla deroga al divieto di superamento del limite massimo di trentasei mesi dei contratti a termine, il Tribunale ha ritenuto che la natura non imprenditoriale dell’ESA e la natura non stagionale delle mansioni svolte non giustificassero deroghe al sistema delle tutele del lavoro a termine. In particolare, ha sottolineato che la ciclicità temporale dell’attività agricola non può costituire un motivo per proroghe o rinnovi oltre il termine legale. In sintesi, il Tribunale ha respinto il ricorso, confermando la decisione di risarcire il danno derivante dall’utilizzo abusivo del contratto a tempo determinato.

Giustificatezza e licenziamento del dirigente

Cassazione civile n. 35020 del 14.12.2023

La sentenza si riferisce al caso di un dirigente licenziato a seguito di addebiti disciplinari tra cui l’organizzazione di corsi senza coinvolgere il responsabile IT, la richiesta di programmazione trimestrale per i permessi previsti dalla legge n. 104/1992 e mancato rispetto di accordi contrattuali. La Corte Suprema respinge il ricorso del dirigente, ribadendo che il principio secondo cui il licenziamento disciplinare del dirigente non richiede la presenza di una giusta causa, ma può derivare da qualsiasi comportamento che comprometta la fiducia del datore di lavoro. La Corte sottolinea che la valutazione della giustificazione del licenziamento è rimessa al giudice di merito e non è soggetta a sindacato in sede di cassazione, tranne che per specifici vizi di legittimità. La Corte, inoltre, conferma che in relazione alla gestione dei permessi previsti dalla legge n. 104/1992, non vi sono norme legislative o contrattuali che impongono la programmazione trimestrale o la richiesta di certificati medici per le assenze. La prassi aziendale non può creare quindi obblighi vincolanti.

Pluralità di comportamenti per definire il mobbing

Cassazione civile n. 36208 del 28.12.2023

La sentenza in questione affronta una complessa controversia relativa a presunte condotte di mobbing subite da un dipendente di un Comune e al ruolo del direttore nel contesto di tali condotte. La Corte ha ritenuto che le azioni del direttore abbiano contribuito a creare un ambiente lavorativo stressogeno per il lavoratore determinando sofferenza psicologica e danni morali. La sentenza ha chiarito il concetto di mobbing e il suo impatto giuridico, confermando che la tutela del lavoratore è garantita anche in presenza di condotte stressogene intenzionali. In questo contesto, il danno morale è stato ritenuto risarcibile, come anche il danno biologico se connesso a una patologia documentabile.

Conseguenze del ritardo nell’adozione del provvedimento disciplinare

Cassazione civile n. 36427 del 29.12.2023

La sentenza conferma il licenziamento disciplinare del lavoratore ritenendo legittimo il termine di conclusione del procedimento disciplinare e la gravità del fatto contestato. La Corte ha respinto il ricorso del lavoratore sostenendo che l’errore nell’indirizzo fornito dallo stesso ha esonerato il datore di lavoro dalla responsabilità del mancato rispetto del termine contrattuale. Inoltre, ha valutato la condotta del dipendente come gravemente negligente, giustificando il licenziamento senza preavviso ai sensi dell’art. 2119 c.c. e della disciplina collettiva. La Corte ha anche chiarito che la violazione dei termini procedurali avrebbe potuto comportare solo una sanzione indennitaria e non la reintegrazione nel posto di lavoro. Infine, ha ribadito che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa nei contratti collettivi ha valenza esemplificativa, lasciando al giudice la valutazione di gravità del fatto e della proporzionalità della sanzione.

Intercettazioni telefoniche sul lavoro

Cassazione civile n. 109 del 03.01.2024

La sentenza in commento riguarda un caso di licenziamento per giusta causa ove la stessa ha confermato la legittimità del licenziamento alla luce dell’accertamento di plurime condotte poste in essere dalla lavoratrice in violazione degli obblighi propri della funzione, dimostrando un coinvolgimento in attività non conformi al ruolo ricoperto. Inoltre, la Corte ha ritenuto che le intercettazioni telefoniche siano pienamente utilizzabili come prova nel procedimento disciplinare, anche se non trascritte nella forma della perizia. In conclusione, la sentenza conferma la validità del licenziamento per giusta causa e sottolinea l’importanza di rispettare gli obblighi lavorativi e comportarsi in modo conforme al ruolo professionale.

Anche ai dirigenti si può fare un procedimento disciplinare

Cassazione civile n. 269 del 04.01.2024

La Corte ha confermato la qualifica dirigenziale del lavoratore, nonostante le contestazioni di quest’ultimo, e ha ritenuto giustificato il licenziamento per motivi di fiducia, nonostante l’archiviazione del procedimento penale per corruzione a suo carico. La decisione evidenzia l’importanza della fiducia nel rapporto di lavoro dirigenziale, sottolineando che la condotta del dirigente, pur in assenza di condanne penali, può ledere tale fiducia al punto da giustificare il licenziamento. La Corte ha ritenuto che la comunicazione di informazioni preferenziali da parte del dirigente a determinati fornitori costituisca una violazione sufficientemente grave da compromettere il rapporto di fiducia. La sentenza ribadisce inoltre il principio di tempestività nell’esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro chiarendo che la sospensione del procedimento disciplinare in attesa di esiti di procedimenti penali non è una prassi obbligatoria nel settore privato, ma può essere una scelta discrezionale del datore di lavoro.

Quando il licenziamento può considerarsi ritorsivo?

Cassazione civile n. 741 del 09.01.2024

La sentenza della Suprema Corte si colloca in un contesto di licenziamento per giusta causa, Il Tribunale di primo grado aveva inizialmente giudicato legittimo il licenziamento, ma successivamente ha ritenuto la sanzione sproporzionata, applicando la tutela prevista dall’art. 18 della legge n. 300/1970. La Corte d’Appello ha poi riformato la sentenza, dichiarando il licenziamento nullo per intento ritorsivo e ordinando la reintegrazione del lavoratore. La Corte di Cassazione, con la sentenza in esame, ha accolto il ricorso della società, evidenziando che il licenziamento ritorsivo è nullo solo se l’intento punitivo è l’unico motivo determinante, in base alla giurisprudenza consolidata

Il datore che non offre al lavoratore l’assegnazione a mansioni inferiori viola l’obbligo di repêchage

Cassazione civile n. 2739 del 30.01.2024

La sentenza affronta il tema cardine in riferimento al licenziamento per giustificato motivo oggettivo che è l’obbligo di repêchage. La Corte di Appello di Roma aveva respinto l’impugnativa di licenziamento di una lavoratrice sostenendo che l’introduzione di un sistema automatico di risposta telefonica rappresentava una legittima modifica organizzativa e che le mansioni residuali potessero essere redistribuite. Cassazione, nel confermare questa decisione, ha ribadito l’importanza dell’innovazione tecnologica come giustificato motivo oggettivo di licenziamento e ha sottolineato l’onere probatorio relativo all’impossibilità di repêchage, che deve essere supportato da prove presuntive. Questa sentenza conferma l’orientamento giurisprudenziale che valorizza le esigenze organizzative delle aziende nell’ambito dei licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, pur mantenendo un equilibrio con la tutela dei lavoratori.

Svolge un’altra attività lavorativa durante la malattia

Cassazione civile n. 2516 del 26.01.2024

La sentenza in questione offre spunti per ricordare che il comportamento del dipendente che presti attività lavorativa durante il periodo di assenza per malattia può costituire giustificato motivo di recesso ove integrante una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà, sia nel caso in cui tale attività esterna sia di per sé sufficiente a far presumere l’inesistenza della malattia, sia nel caso in cui la medesima attività, valutata con giudizio ex ante, possa pregiudicare o ritardare la guarigione o il rientro in servizio.

Infortunio sul lavoro, danni e onere della prova

Tribunale di Castrovillari n. 31 del 15.01.2024

La sentenza del Tribunale di Castrovillari riguarda una causa tra un dirigente medico specialista in ginecologia ed ostetricia e l’ASP di una determinata località. La ricorrente subiva un’aggressione durante il proprio turno di lavoro da parte dei parenti di un paziente, senza che l’ASP avesse fornito un adeguato piano di sicurezza per i dipendenti. La richiesta della ricorrente riguarda il risarcimento del danno biologico e morale subito a causa dell’aggressione. Nel merito, la sentenza si basa sull’art. 2087 c.c., che impone all’imprenditore di adottare le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e morale dei dipendenti. L’ASP non ha fornito prove di aver adottato misure di prevenzione idonee, pertanto è ritenuto responsabile. La consulenza tecnica d’ufficio ha confermato che la ricorrente ha riportato un danno biologico pari al 10% a causa dello stress post-traumatico subito. Il danno non patrimoniale deve essere considerato unitario, e la liquidazione deve avvenire secondo le tabelle fornite dall’ufficio per la giustizia civile presso il Tribunale di Milano. La sentenza rigetta la richiesta di risarcimento per invalidità temporanea parziale in assenza di documentazione sufficiente a sostenerla. Tuttavia, viene riconosciuto un risarcimento per invalidità temporanea assoluta già corrisposto dall’ASP.

×