Nella newsletter di luglio potrai trovare alcune sentenze in materia di diritto del lavoro.

Il Focus di questo mese è:il criterio di selezione interna, discriminazione di genere nella valutazione dell’anzianità del part-time

Cliccando sui singoli link, oltre ai contenuti già presenti nell’articolo, troverai le sentenze integrali da cui sono tratti.

Buona lettura della newsletter!

Risarcimento per controllo psichiatrico discriminatorio in polizia penitenziaria

TAR Piemonte n. 353 del 9.042024

La sentenza affronta il caso di un agente scelto della Polizia Penitenziaria che ha chiesto il risarcimento del danno non patrimoniale subito a seguito di un procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti. Questo procedimento disciplinare è stato basato sulle dichiarazioni di due detenuti che hanno accusato l’agente di fare avances sessuali. Durante il procedimento, l’amministrazione ha sottoposto l’agente a controlli psichiatrici per accertare la sua omosessualità, una pratica considerata altamente invasiva e ingiustificata. Il tribunale ha ritenuto che l’amministrazione abbia agito in modo illecito e arbitrario, violando le regole di diligenza e prudenza necessarie per valutazioni mediche così intrusive. La decisione di sottoporre l’agente a questi accertamenti, basata esclusivamente su sospetti di omosessualità, è stata giudicata priva di un valido supporto giuridico e tecnico-scientifico. Il TAR ha stabilito che tale comportamento ha causato un danno morale significativo all’agente, mettendo in dubbio la sua idoneità al servizio senza fondamenti concreti e associando ingiustamente la sua presunta omosessualità a un disturbo della personalità. In termini di risarcimento, il tribunale ha riconosciuto che la sofferenza interiore e lo stigma subiti dall’agente giustificano un risarcimento di 10.000 euro, determinato in via equitativa data l’impossibilità di quantificare esattamente il danno. Questa sentenza evidenzia l’importanza del rispetto dei diritti dei lavoratori, in particolare riguardo alla protezione della loro dignità e privacy. Sottoporre un dipendente a indagini psichiatriche basate su sospetti infondati di omosessualità è un atto discriminatorio e lesivo dei diritti umani. L’orientamento sessuale non può e non deve essere utilizzato come pretesto per mettere in discussione la professionalità o la salute mentale di un lavoratore.

È discriminatoria la condotta di chi esclude alcune candidate perché in stato di gravidanza

Corte d’Appello di Roma n. 475 del 6.02.2024

La Corte di Appello di Roma ha emesso una sentenza importante confermando la discriminazione subita da due colleghe in gravidanza e in maternità che non sono state assunte presso ITA, tra fine 2021 e oggi. Sebbene la discriminazione fosse stata inizialmente riconosciuta, era stata messa in discussione da un giudice successivo che aveva accettato le argomentazioni dell’azienda. Tuttavia, la Corte di Appello ha ribadito il diritto delle due colleghe di essere assunte e ha ordinato a ITA di versare ulteriori risarcimenti. La sentenza si basa sul D. Lgs n.198 del 2006, stabilendo che la cessazione della discriminazione deve avvenire attraverso l’assunzione delle candidate.

Clausola di revoca delle agevolazioni di viaggio per azione legale del dipendente: nulla e ritorsiva

Tribunale di Milano del 23.01.2024

La sentenza del Tribunale di Milano si focalizza sulla controversia tra alcuni dipendenti di Italia Trasporto Aereo S.p.A. e la stessa compagnia aerea riguardo alla revoca delle facilitazioni di viaggio. La revoca è stata comunicata ai ricorrenti per il fatto di aver avviato un giudizio contro la società, in conformità con il regolamento interno della stessa azienda. Tuttavia, il Tribunale ha stabilito che tale revoca non costituisce una discriminazione, bensì una ritorsione illegittima. Secondo il giudice, la discriminazione richiede un confronto tra situazioni analoghe, cosa che in questo caso manca poiché tutti i dipendenti che hanno agito contro la società sono stati trattati allo stesso modo. La ritorsione, d’altra parte, è definita come una reazione ingiusta e arbitraria a un comportamento legittimo del lavoratore, comportamento che nel caso specifico è l’esercizio del diritto costituzionale di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti. Il regolamento aziendale che permette la revoca delle facilitazioni di viaggio per i dipendenti che intraprendono azioni legali contro la società è stato dichiarato nullo in quanto sorretto da un motivo illecito. Tale disposizione è stata considerata come un mezzo per scoraggiare i lavoratori dall’esercitare i loro diritti, un comportamento che va contro l’ordine pubblico e il buon costume. Inoltre, la natura discrezionale del beneficio non giustifica la revoca, poiché l’effetto è pregiudizievole per i lavoratori e la finalità perseguita è ingiusta. La sentenza ha quindi accolto la domanda subordinata dei ricorrenti, ordinando il ripristino delle facilitazioni di viaggio.

Rinuncia preavviso datore: no diritto indennità sostitutiva

Corte di Cassazione n. 6782 del 14.03.2023

La sentenza della Corte Suprema di Cassazione si concentra sull’indennità di preavviso in caso di dimissioni del lavoratore, specificamente sulla questione se il datore di lavoro, che rinuncia al periodo di preavviso, sia tenuto a pagare l’indennità sostitutiva al lavoratore. La Corte ha stabilito che il preavviso nel contesto di un contratto di lavoro a tempo indeterminato non ha un’efficacia reale, ma obbligatoria. Ciò significa che, se una delle parti decide di recedere immediatamente dal contratto, il rapporto di lavoro si conclude immediatamente e la parte recedente è obbligata a pagare l’indennità sostitutiva, salvo che essa consenta alla continuazione del rapporto per il periodo di preavviso. La sentenza afferma che il datore di lavoro, rinunciando al preavviso, non è obbligato a pagare l’indennità sostitutiva al lavoratore, in quanto non vi è alcun diritto della parte recedente alla prosecuzione del rapporto fino alla fine del periodo di preavviso. Questa decisione si allinea con la giurisprudenza consolidata che vede il preavviso come un obbligo accessorio e alternativo, che può essere liberamente rinunciato dalla parte non recedente senza dover subire conseguenze obbligatorie.

Contestabile conciliazione sindacale senza assistenza lavoratore

Tribunale di Bergamo n. 59 del 24.01.2024

La causa è stata promossa dal lavoratore, che ha chiesto il riconoscimento di un trattamento economico conforme al contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) per il settore autotrasporto merci e logistica, affermando di aver percepito una retribuzione inferiore a quella prevista dal CCNL dal 2001 al 2016. Il ricorrente ha sostenuto di non aver mai ricevuto tredicesima, quattordicesima e scatti di anzianità, e di non aver avuto un corretto computo del TFR. Il punto centrale della sentenza è la validità di un accordo conciliativo firmato nel 2017, in cui il lavoratore avrebbe rinunciato a ulteriori richieste retributive in cambio di una somma di € 100,00. Il giudice ha valutato se tale accordo possa inibire la domanda del lavoratore. La conciliazione è stata ritenuta nulla perché mancava di elementi essenziali, come la consapevolezza del lavoratore sui diritti rinunciati e l’effettiva assistenza sindacale. La sentenza sottolinea che, secondo l’art. 2113 c.c., le rinunce e transazioni in materia di diritti inderogabili devono essere frutto di una conciliazione in sede sindacale, con effettiva assistenza sindacale, affinché siano inoppugnabili. La carenza di assistenza effettiva rende l’accordo impugnabile. La sentenza ribadisce l’importanza dell’effettiva assistenza sindacale per garantire la volontà libera e consapevole del lavoratore nelle conciliazioni.

Somma risarcitoria per lavoro straordinario oltre 250 ore: legittimità?

Tribunale di Padova n. 171 del 6.03.2024

La sentenza del Tribunale di Padova, tratta la questione della quantificazione del “quantum debeatur” spettante al ricorrente. Per quanto riguarda le differenze retributive per lavoro straordinario il giudice ha specificato che solo il tempo di viaggio impiegato per raggiungere i cantieri è considerato parte dell’orario di lavoro. Non sono inclusi i tempi di percorrenza per il ritorno, poiché il lavoratore, una volta terminata la prestazione lavorativa presso i cantieri, era libero di gestire il proprio tempo come meglio credeva, senza obbligo di rientro immediato in sede. Questa libertà è confermata dall’assenza di vincoli imposti dal datore di lavoro e dall’assegnazione di due auto aziendali al ricorrente e al collega con cui veniva mandato in missione. In sintesi, la sentenza chiarisce che il tempo di viaggio verso i cantieri è computabile come orario di lavoro, mentre quello per il ritorno no, a causa della libertà di movimento concessa al lavoratore al termine della giornata lavorativa.

Responsabilità penale del rappresentante per la sicurezza sul lavoro

Corte di Cassazione Penale n. 38914 del 25.09.2023

La sentenza rappresenta un significativo sviluppo giurisprudenziale in materia di sicurezza sul lavoro e responsabilità penale. Il caso riguarda un incidente mortale in cui un lavoratore è stato schiacciato da un carico di tubolari di acciaio. La Corte ha confermato la responsabilità del datore di lavoro e del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (RLS) Il datore di lavoro è stato ritenuto colpevole per aver omesso di implementare procedure di sicurezza idonee, contribuendo così direttamente all’incidente. L’RLS, è stato riconosciuto colpevole di omissione per non aver promosso l’elaborazione e l’attuazione delle misure di prevenzione necessarie, né aver sollecitato la formazione adeguata per i lavoratori. Per il datore di lavoro la Corte ha sottolineato che la mancanza di formazione specifica del lavoratore sull’uso del carrello elevatore era un elemento critico della responsabilità. Per RLS, la Corte ha affermato che, nonostante il ruolo consultivo, esisteva una specifica colpa per omissione, in quanto non aveva esercitato le sue prerogative per promuovere e sollecitare le misure di sicurezza necessarie.

Trasformazione del contratto per fatti concludenti

Corte Cassazione civile n. 4350 del 19.02.2024

La sentenza affronta la questione della trasformazione del contratto di lavoro da part-time a full-time per fatti concludenti. La Cassazione ha ribadito che, secondo la giurisprudenza consolidata, la trasformazione del rapporto di lavoro avviene se le modalità concrete di svolgimento del lavoro sono equivalenti a quelle di un contratto a tempo pieno, indipendentemente dalle intenzioni formali originarie delle parti. Il riconoscimento della trasformazione si basa sull’effettività della prestazione lavorativa, non essendo necessarie specifiche formalità per tale cambiamento. La sentenza sottolinea come la realtà effettiva del rapporto di lavoro debba prevalere sugli accordi formali iniziali, in linea con precedenti decisioni della Corte di Cassazione. L’accertamento della trasformazione per fatti concludenti è demandato ai giudici di merito, e la Cassazione interviene solo in presenza di evidenti errori di diritto. La decisione è significativa perché riafferma l’importanza della corrispondenza tra la prestazione lavorativa effettiva e i diritti retributivi del lavoratore, ponendo un forte accento sull’effettività rispetto alla formalità. Inoltre, evidenzia l’obbligo del datore di lavoro di riconoscere i diritti derivanti dalla trasformazione del rapporto di lavoro quando le modalità operative superano sistematicamente quelle previste per il part-time.

Svolgimento attività durante la malattia

Corte Cassazione civile n. 5002 del 26.02.2024

La sentenza in esame riguarda il caso di un dipendente licenziato per aver svolto attività di istruttore di kickboxing durante un periodo di malattia, comportamento considerato incompatibile con il suo stato di salute e potenzialmente pregiudizievole per la guarigione. Il Tribunale, in prima istanza, aveva rigettato l’impugnazione del licenziamento, ma successivamente, su opposizione del lavoratore, aveva annullato il licenziamento, ordinando la reintegrazione. Tuttavia, la Corte d’Appello aveva riformato questa decisione, sostenendo che le prove presentate dalla società, inclusa una relazione investigativa e testimonianze, dimostravano la continuità dell’attività svolta dal lavoratore. durante la malattia. Inoltre, aveva ritenuto inattendibili i testimoni a favore del lavoratore per i loro rapporti di parentela e amicizia con lo stesso. La Cassazione ha sottolineato che le attività svolte durante il periodo di malattia erano idonee a pregiudicare la sua guarigione e il ritorno al lavoro, giustificando così la decisione della Corte d’Appello di ritenere legittimo il licenziamento per giusta causa.

Licenziato per utilizzo dei permessi

Sentenza n.48340.20 Turchia del 20.02.2024

La sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo evidenzia il caso, già oggetto di esame da parte del giudice turco di un licenziamento di un lavoratore per presunta violazione di norme aziendali. Il lavoratore, un dipendente di un’azienda di trasporti, è stato licenziato per aver utilizzato i permessi concessi ai sensi della legge per attività personali non autorizzate. La questione principale verte sull’interpretazione e applicazione delle disposizioni di legge relative ai permessi lavorativi e la loro corretta fruizione da parte dei dipendenti. Il Tribunale ha rilevato che il datore di lavoro ha licenziato il dipendente sulla base del fatto che quest’ultimo avrebbe sfruttato i permessi per finalità diverse da quelle previste, violando così i termini del contratto di lavoro. Tuttavia, il lavoratore ha contestato il licenziamento sostenendo che le attività svolte durante i permessi erano conformi alla normativa e necessarie per esigenze personali legittime. Il lavoratore aveva utilizzato i permessi per scopi personali, ma la normativa vigente non specificava chiaramente quali attività fossero considerate inappropriate durante tali permessi. Il Tribunale poi ha analizzato la politica aziendale riguardante i permessi lavorativi. La mancanza di chiarezza e la possibile ambiguità delle norme interne hanno giocato a favore del lavoratore. È stato sottolineato che qualsiasi normativa aziendale deve essere chiara e precisa per evitare interpretazioni soggettive che potrebbero ledere i diritti dei lavoratori. In terzo luogo, è stato considerato il principio di proporzionalità nella sanzione del licenziamento. Il Tribunale ha stabilito che, anche se il lavoratore avesse violato le norme aziendali, il licenziamento è una misura estrema e dovrebbe essere applicata solo in casi di gravi violazioni. La condotta del lavoratore, sebbene discutibile, non giustificava un provvedimento così severo.

Licenziato per aver rifiutato di eseguire un compito affidato

Sentenza n.37364.10 Serbia del 5.03.2024

La sentenza della Corte Europea dei diritti dell’Uomo evidenzia il caso, già oggetto di esame da parte del giudice serbo di licenziamento di un dipendente per presunta insubordinazione e violazione delle politiche aziendali. Il dipendente, un operaio in una fabbrica di produzione, è stato licenziato dopo aver rifiutato di eseguire un compito assegnato che riteneva non sicuro. La questione centrale riguarda la legittimità del licenziamento e la protezione dei diritti dei lavoratori in materia di sicurezza sul lavoro. Il datore di lavoro ha sostenuto che il licenziamento era giustificato a causa della disobbedienza del dipendente alle direttive aziendali, che avrebbe messo a rischio l’efficienza operativa e la disciplina all’interno dell’azienda. Tuttavia, il dipendente ha sostenuto che il compito assegnato era pericoloso e non conforme alle norme di sicurezza previste dalla legislazione serba e dai regolamenti interni dell’azienda. Il Tribunale ha rilevato che il dipendente ha agito in buona fede, segnalando che il compito era insicuro e che il rifiuto di eseguire tale compito era giustificato dalla necessità di tutelare la propria salute e sicurezza. Inoltre, la legge serba garantisce ai lavoratori il diritto di rifiutare compiti che possano compromettere la loro sicurezza, e il datore di lavoro è obbligato a garantire un ambiente di lavoro sicuro e conforme alle normative vigenti. Un aspetto chiave della sentenza è stata l’analisi del rapporto tra le direttive aziendali e la legislazione sulla sicurezza sul lavoro. Il Tribunale ha sottolineato che le politiche aziendali non possono contravvenire alle leggi nazionali sulla sicurezza e che i lavoratori hanno il diritto di rifiutare compiti pericolosi senza timore di ritorsioni. La sentenza ha quindi stabilito che il licenziamento del dipendente era illegittimo, ordinando il suo reintegro immediato e il risarcimento dei danni per il periodo di inattività. Inoltre, è stata imposta una sanzione all’azienda per non aver rispettato le norme di sicurezza sul lavoro, con l’ordine di rivedere e migliorare le proprie politiche interne in materia di sicurezza.

Permessi legge 104: legittimo licenziare chi svolge altre attività

Cassazione civile n.6468 del 12.03.2024

La sentenza si inserisce nell’ambito della legittimità del licenziamento disciplinare per abuso dei permessi ex Legge 104/1992. La vicenda trae origine dal licenziamento per l’utilizzo improprio dei permessi retribuiti concessi per l’assistenza ai genitori disabili. Il cuore della sentenza si basa sull’accertamento di aver utilizzato i permessi non per l’effettiva assistenza, ma per svolgere altre attività. Questo comportamento è stato considerato una violazione grave dei principi di buona fede e correttezza contrattuale, giustificando così il licenziamento per giusta causa. La Corte ha sottolineato che l’utilizzo dei permessi per scopi non connessi all’assistenza costituisce un abuso del diritto. Questo comportamento, oltre a infrangere la fiducia del datore di lavoro, è in contrasto con la ratio stessa dei permessi, che mirano a tutelare esigenze particolarmente delicate e meritevoli di protezione sociale. Un altro aspetto rilevante della sentenza riguarda la legittimità del controllo esercitato tramite agenzia investigativa. La Corte ha affermato che tali controlli sono ammissibili quando finalizzati a verificare comportamenti potenzialmente illeciti, e non per sorvegliare l’adempimento della prestazione lavorativa. Questo principio trova conferma nella giurisprudenza che legittima il ricorso a investigazioni private per monitorare l’utilizzo dei permessi ex Legge 104/1992. Infine, la valutazione della proporzionalità tra licenziamento e comportamento addebitato è stata considerata corretta e conforme ai principi di buona fede e correttezza contrattuale, sottolineando come la gravità delle azioni della lavoratrice abbia giustificato la risoluzione del rapporto di lavoro.

Azienda non a norma: datore responsabile anche per attività vietate

Cassazione penale n.12326 del 26.03.2024

La sentenza affronta il tema della responsabilità del datore di lavoro in caso di infortunio del dipendente. La Corte ha stabilito che il comportamento abnorme del lavoratore, quando si collochi al di fuori dell’area di rischio definita dalla lavorazione in corso, può interrompere il nesso di causalità tra la condotta del datore di lavoro e l’evento lesivo. Tuttavia, la condotta colposa del lavoratore infortunato non è sufficiente ad esonerare il datore di lavoro da responsabilità se è comunque riconducibile all’area di rischio della lavorazione svolta. Nel caso specifico, il lavoratore deceduto stava svolgendo un’attività di manutenzione straordinaria espressamente vietata dal datore di lavoro e condotta senza l’adozione di dispositivi di sicurezza, interrompendo così il nesso di causalità. La Corte ha inoltre escluso la responsabilità del datore di lavoro per l’elemento soggettivo del reato, in quanto il comportamento del lavoratore non risultava consuetudinario ma solo occasionale e il datore di lavoro non era presente al momento dell’infortunio né si occupava della gestione dello specifico impianto. Infine, la Cassazione ha riconosciuto il beneficio della non menzione della condanna nel casellario giudiziale, in considerazione delle circostanze attenuanti riconosciute.

Maestra licenziata per trattare in modo inappropriato temi sessuali

Sentenza n.8740 del 3.04.2024

La sentenza della Corte Suprema ha respinto il ricorso della docente contro il Ministero dell’Istruzione, confermando la sentenza della Corte d’Appello di Bologna che aveva disatteso il gravame proposto contro il licenziamento per giusta causa. La Corte Suprema ha ritenuto che la contestazione effettuata dal Ministero fosse sufficientemente specifica e che i fatti emersi durante il processo avevano dimostrato l’adozione da parte della docente di comportamenti inappropriati in classe, provocando grave turbamento e disagio negli alunni. La sentenza è particolarmente significativa per quanto riguarda l’applicazione delle regole di giudizio relative all’onere della prova e la valutazione delle prove atipiche. La Corte Suprema ha confermato che il giudice può legittimamente porre a base del proprio convincimento anche prove atipiche, purché idonee a fornire elementi di giudizio sufficienti e non smentite dal raffronto critico con le altre risultanze del processo.

Risarcimento per stagionale non informato sul diritto di precedenza

Cassazione civile n.9444 del 9.04.2024

La sentenza affronta una questione rilevante in materia di rapporti di lavoro a tempo determinato, in particolare riguardo al diritto di precedenza del lavoratore stagionale. La Corte ha stabilito che il datore di lavoro che omette di informare il lavoratore stagionale del suo diritto di precedenza all’atto dell’assunzione è tenuto a risarcire il danno subito dal lavoratore. La sentenza in esame rappresenta un importante passo avanti nella tutela dei diritti dei lavoratori stagionali, categoria particolarmente vulnerabile e spesso esposta a pratiche abusive da parte dei datori di lavoro. Il riconoscimento del diritto al risarcimento del danno in caso di mancata informazione sul diritto di precedenza costituisce un forte deterrente per i datori di lavoro e un incentivo affinché essi adempiano correttamente ai propri obblighi informativi. Ciò si inserisce in un più ampio quadro di rafforzamento della tutela dei lavoratori, anche attraverso l’istituzione di registri centralizzati e di uffici specializzati nella gestione dei beni sequestrati e confiscati, previsti dalla citata direttiva europea. La sentenza in esame assume particolare rilevanza anche in considerazione del fatto che il diritto di precedenza del lavoratore stagionale rappresenta uno strumento fondamentale per contrastare il fenomeno del lavoro irregolare e del caporalato, spesso connessi alla criminalità organizzata. Garantire l’effettività di tale diritto significa infatti assicurare condizioni di lavoro più eque e dignitose per una categoria di lavoratori particolarmente esposta a sfruttamento e abusi.

Il licenziamento può essere comunicato nel verbale di conciliazione

Cassazione civile n.10734 del 22.04.2024

La sentenza della Corte Suprema di Cassazione riguarda una controversia relativa al licenziamento per giusta causa. La Corte d’appello di Catania, in parziale accoglimento del reclamo dell’Ispettoria, ha modificato la decisione di primo grado confermativa dell’impugnativa di licenziamento, dichiarando risolto il rapporto lavorativo e condannando l’Ispettoria al pagamento di un’indennità equivalente a 18 mensilità dell’ultima retribuzione, oltre rivalutazione e interessi. La Corte ha anche trattato le spese processuali, assegnandone il pagamento in misura diversificata. Il ricorso per cassazione proposto si articola su sei motivi, principalmente centrati sulla forma del licenziamento, la correttezza della procedura conciliativa, e la valutazione delle prove testimoniali. In particolare, si contesta la decisione della Corte d’appello riguardo alla forma scritta del licenziamento e alla valutazione delle prove circa il giustificato motivo oggettivo del licenziamento. La Corte Suprema di Cassazione ha respinto tutti i motivi del ricorso principale e incidentale, confermando la decisione della Corte d’appello di Catania.

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